Esattamente una settimana fa, a quest’ora eravamo in fibrillazione per l’evento che solo con qualche foto ha fatto breccia nel pubblico: Bellussera Experience la cena in vigna. È stato un evento pilota, un test di avvio di quella che potrà divenire una proposta turistica in futuro. È stato soprattuto un modo per celebrare la maestosità delle poche vigne Bellussere rimaste.
I vigneti a Bellussera per chi è nato in terra trevigiana, lungo la Piave in particolar modo, sono stati fino a una ventina d’anni fa, i vigneti. Alti rigogliosi, freschi d’estate, dove la vegetazione creava il paradiso fatto da una leggera brezza, l’ombra sotto la quale portavi una coperta e un libro, giocavi con le bambole, imbastivi cene. La Bellussera era il vigneto si, ma lungo i filari spesso c’era spazio per fare l’orto e mettere delle piante da frutto.
La mia Bellussera
Io sono nata con una Bellussera davanti casa, tre quarti a merlot e un quarto a verduzzo. Sotto la vigna mia nonna e mia zia piantavano: meloni, zucche, angurie e fagioli. In mezzo c’erano piante di pesche, sbereghe poi divenute noci pesca, albicocche e pere. Io ero piccola e i filari mi parevano lunghissimi. In fondo ai filari c’era un fosso con alberi alti e rovi. Qui si costruivano le famose capanne e io nascondevo nelle pentoline qualche frutto rubato dagli alberi.
Le Bellussere erano la famiglia, perché il lavoro in vigna si faceva tutto a mano e serviva opera. La spollonatura si iniziava a far da bambini. Le prime giornate con le braghe corte e le braccia nude a “sbampoear”. E poi la vendemmia, la festa che portava gli zii da fuori, i carri colmi che andavano in cantina. Su fino a notte fonda per sapere il grado. D’inverno la potature, la legna che veniva raccolta in fondo e il pan e vin che celebrava la speranza del nuovo anno di raccolto. Tutto si svolgeva sotto quelle arcate maestose che ora sembrano impossibili da realizzare.
Enjoy the land
Così quando Patrizia mi dice: “sai parlando con Désirée abbiamo pensato di coinvolgerti in un progetto che riguarda le Bellussere, non ho neppure chiesto di cosa si trattava. Ho detto si e ho mandato un messaggio a Désirée con un cuoricino <3
Sono approdata ad un progetto molto più ampio che riguarda la valorizzazione dei paesaggi, attraverso la formulazione di pacchetti turistici che ne faranno conoscere appunto le peculiarità. #enjoytehland si chiama e come si fa a non essere enjoy in questo paese? In questo caso, questo laboratorio serve per esaltare e far conoscere questa realtà di architettura agricola che sta scomparendo e farla apprezzare vivendola in modo originale.
L’idea di proporre una cena in vigna non è una novità, ma ogni cena non è uguale e ogni cena può divenire una storia unica. La differenza fra una cena e l’altra è fatta di tanti piccoli dettagli, che la compongono un quadro che rimane nella memoria di chi partecipa e che lo racconta poi favorendo dettagli diversi l’uno dall’altro dei racconti.
La vigna
È quella di Désirée e della sua famiglia di origine, che ora coltiva insieme al marito titolare dell’azienda Vini Bellese. La vigna si trova a Candolè una frazione di Salgareda, gioco in casa, una delle poche zone che ancora sono riservate quasi totalmente all’agricoltura. È una vigna composta da diversi tipi di vitigno, ognuno con una peculiarità e una vegetazione diversa. La cena decidiamo che si compie sotto il Manzoni, quello che ha meno vegetazione e che l’accesso degli ospiti così non recherà disturbo alle viti. Désirée quando parla di questa vigna apre il cuore, di donna e di figlia in modo particolare. È il legame che con suo padre Paolo che racconta, mancato qualche anno fa e che per lei è il faro e cara Desi avrà avuto un sorriso felice sotto i suoi splendidi baffi domenica.
Gli ospiti
Al massimo decidiamo che si può arrivare a trenta, ma per la prima ci fermiamo a 20, che poi sono 23 …25 e infine 26 persone sedute a tavola. Chi sono? Désirée e la sua famiglia ovviamente, Patrizia e la sua famiglia, i partecipanti al progetto, quindi Tatiana, Susi, Margherita, Alberto e poi… un po’ di gente che ne sa di vino di vigna e di eventi. Qualche artista che allieterà la serata e gente che ne sa di turismo.
Lo stile
Lo stile di una cena in vigna deve rispettare l’ambiente, io però dico che per la Bellussera deve essere elegante. Quindi tovaglie bianche, posate in acciaio, piatti in ceramica un po’ romantici, calici trasparenti, candele e qualche fiore e decoro naturale e rustico. Qualche lucina delicata e una luce importante perché siamo davvero immersi nella campagna.
L’intrattenimento
L’intrattenimento è necessario in una cena dove in pochi ci si conosce, ma l’intrattenimento non deve neppure essere banale. Ecco la presenza di Giovanna Digito del Teatro delle Arance, con il maestro Dante Morsetto alla fisarmonica. Racconti rigorosamente in dialetto, quasi a ricordarci dove siamo, tempi dello scorso secolo, non poi così lontano, ma che ha subito cambiamenti repentini sotto i i nostri occhi. Racconti di contadini, di viaggi sulle biciclette, di intrighi amorosi e di paesi che per noi del luogo sono familiari.
Storytelling
Il racconto della serata è condotto da due voci femminili importanti. La prima di Désirée che brava padrona di casa, racconta la storia della sua famiglia e accompagna gli ospiti in una passeggiata lungo i filari per metterli a proprio agio. La seconda è Patrizia, regista di questa cosa meravigliosa, a lei la maternità dei legami che si creano nei suoi progetti e la lungimiranza nella visione globale. Donna del vino e del racconto amorevole la si può definire, donna che riconosce talenti e li fa emergere sotto uno sguardo attento. Oltre ad occuparsi dell’allestimento, conduce la serata facendo alternare voci, musiche, risate e chiacchierii spontanei.
Il vino
Il vino di Casa Bellese con il 373 vino prodotto da uve di Bellussera, altro non poteva accoglierci. Abbiamo poi bevuto il Refosco dal Peduncolo Rosso che ha accompagnato il secondo piatto e con il dessert lo Spumante di casa.
La cena in vigna
Infine la cucina, la tengo alla fine non per importanza ma perché mi riguarda. Ho pensato al menù, pensando a cosa avrei voluto trovare io a tavola. Il menù è nato pensando alla stagione, alla temperatura ardente di questi giorni. Ho scelto prima di tutti i fornitori. Un menù senza voler stupire, ma con l’idea di far godere il palato e lasciare un buon ricordo. Ho pensato al menù stravolgendolo spesso, perché ho dato spazio alla sostenibilità, usando prodotti in esubero nelle coltivazioni del momento. Ho pensato al menù che sarebbe piaciuto anche a dei vignaioli dopo una giornata di lavoro.
Gli ospiti hanno trovato per antipasto.
– crema di piselli con maggiorana fresca
– crema di asparagi con erba cipollina
– crema di zucchine e menta
– crostini con Casatella DOP e verdure essiccate
– crostini con girello di vitello cotto a bassa temperatura.
Il primo piatto è una ricetta che ho spudoratamente copiato da Ada Riolfi dell’Enoteca della Valpolicella, una crema al pomodoro con Mozzarella di Bufala stracciata e basilico fresco. Uno dei piatti che quando l’ho assaggiato ho pianto dall’emozione, semplice, elegante e godibile infinitamente.
Il secondo un girello di bufalo brasato con verdure e burro, in una casseruola per quattro ore e mezza. Servito con una salsa composta dal fondo di cottura e delle verdure cotte in forno e insalata rustica. La carne di bufalo l’ho cotta per la prima volta domenica, ma mi sono fidata di Omar dell’azienda Borgoluce che me l’ha consigliata. La carne è di bufale dell’allevamento Mandre, nate, allevate, macellate e sezionate tutto in azienda. Devo dire che è il piatto che mi ha stupito e che più temevo. Non ne è tornata indietro una briciola.
Per onorare il famoso detto “a boca no la e stracca se no a sa da vacca”, ho servito un piattino con due assaggi di formaggio: Mandre formaggio di latte di bufala di 60 giorni e Piave Mezzano un classico della nostra tradizione. Accompagnati con due mie conserve, una chutney di uva fragola e una composta di cipolle alla nigella.
E poi il mio dessert #disagiato, non amo farei dolci, ma amo che rimanga un buon ricordo. Crumble classico con crema di ricotta e yogurt di bufala salata, ciliegie cotte nello zucchero e il loro sciroppo.
Che dire… grazie a Marco che è stato un valido aiuto, a Silvia, Marta e Nicolò che hanno compiuto un servizio a tavola eccellente. Agli ospiti che hanno ascoltato anche i miei racconti e hanno pulito i piatti. A Désirée che mi ha voluta in cucina e a quella santa donna di Patrizia che non ha mai messo in dubbio le mie capacità mi ha lasciato lavorare in libertà e assoluta serenità. Grazie anche a quel bello di Alberto Barosco per le sue foto dalle quali potete essere in parte presenti a La cena in vigna.
Che dite vorreste anche voi partecipare ad una cena in vigna e vivere una #bellusseraexperience?
Monica